Marcello Vandelli nasce il 28 agosto 1958 a San Felice Sul Panaro. Mamma Elda e papà Nando dovranno fare i conti ben presto con una personalità complessa che avranno da subito ben chiaro, gli darà molto da fare. Vandelli ha tre figli, Federica, Alessandro ed Eleonora. Non avrà fratelli e conoscerà la solitudine dei figli unici ma all’età di cinque anni, un pupazzo concessogli in dono e raffigurante Topo Gigio, farà nascere in lui la meravigliosa sensazione di aver finalmente trovato un amico. Il mitico Topo ricorrerà in molti dei suoi dipinti. Quel dolce pupazzo non tradirà mai il piccolo Marcello tanto da portare nel tempo il famoso pittore ad omaggiarlo, dedicandogli numerosissime opere.
Mamma Elda, rimane oggi la sola donna che disconoscerà rivali, faro prezioso di una vita segnata da dolorose rotture e simboliche ricongiunzioni. Nel periodo dell’infanzia, Marcello sogna di essere un indiano ed affascinato dalle tradizioni di questa gente, desidererà di morire combattendo sotto i colpi dell’artiglieria americana, tra il fango e delle gigantesche balle di fieno. L’uomo cresce ed il suo spirito inquieto, lungi dall’abbandonarlo, si fortificherà insieme a quella sensibilità così diversa che, in modo molto naturale, diverrà prerogativa di quel genio creativo che non tarderà ad affermarsi. La morte improvvisa e precoce dell’adorato padre, metterà Vandelli duramente alla prova. Gli ostentati silenzi e le scuse mai manifeste, introdurranno tra padre e figlio un invisibile filo di congiunzione, che l’artista nonostante lo scorrere del tempo, vorrà sempre accarezzare.
La rappresentazione della mancanza della figura paterna diverrà in lui angosciosa ricerca di quella protezione affettiva venuta a mancare, come un giardino maestoso che vede una quercia preziosa all’improvviso piegarsi, ed appesa ad un filo di vento, legarsi irrimediabilmente alla terra per soccombere per poi potersi fare semplicemente accarezzare. E sarà la nostalgia, negli anni a venire, a delineare un percorso esistenziale volto a celebrare una malinconia radicata, che vedrà quel bambino così estroverso e particolare scindersi in due, soffrire, dilaniarsi, per poi tornare sempre ad illuminare. Perché è questo che il simbolismo Vandelliano si propone di fare, illuminare, le menti, il cuore, affidando all’uomo l’ingrato compito di saper osare. Eppure, malgrado il tempo, quel bambino che si rotolava nel fango, tra dorate balle di fieno, qualcosa ci dice che rimarrà…per sempre.