Il Cortile Teatro Festival si avvia verso le battute finali. In scena due spettacoli nell’Area Iris, su temi suggeriti dalla contemporaneità, anche se con stili completamente diversi. «Il Festival, infatti – dice il direttore artistico Roberto Zorn Bonaventura – vuole essere strettamente legato al nostro tempo e quindi presentare proposte teatrali che non si sottraggono all’attualità, ma con la capacità di realizzare scelte diversamente “marchiate”.
Mercoledì sarà la volta della compagnia messinese QA-QuasiAnonimaProduzioni presenterà l’inedito dal titolo “In tacito quadrante – Per una poetica dell’impossibile”, uno studio che parte da “Immaginazione morta immaginate” di Samuel Beckett. A dare spessore a questa pièce saranno Giulia Messina e William Caruso, per la regia e drammaturgia di Auretta Sterrantino, musiche originali di Vincenzo Quadarella. Lo studio segue il percorso già tracciato con “Cenere”, visto l’anno scorso.
Nelle note di regia si legge, tra l’altro: «Dalla terra desolata di matrice eliotiana, popolata da un unico indefinito personaggio sempre in dialogo con il pubblico, ci spostiamo in uno spazio chiuso e definito. Qui i paesaggi non cambiano neanche nell’immaginazione, se non tra un prima e un dopo. Immaginare che l’immaginazione sia morta si rivela oggi suggestione concreta, in un mondo che sempre più si sta abbandonando a un’alta definizione che non è frutto di attenta analisi ma solo di tecnologia: l’immagine non nasce più da noi ma è calata dentro di noi dall’esterno, perdendo così tutti i suoi connotati e divenendo dato. Ancora una volta in un’atmosfera post catastrophe, veniamo proiettati in uno spazio altro, in cui ciascuno di noi ha molto di sé da riconoscere».
Lunedì prossimo, invece, sarà la volta di Francesco Natoli, attore ben conosciuto dal pubblico del Festival, che a interpreterà la pièce dal titolo “Un giorno quasi perfetto” di Antonino Anelli e Michelangelo Maria Zanghì, presentato dalla Compagnia Santina Porcino di Patti.
«Questo spettacolo – dicono gli autori – parla di ognuno di noi, perché racconta del rapporto più antico e viscerale che possa esistere: quello tra genitori e figli. Per Marika, la protagonista, questo rapporto è tutt’altro che semplice, avendo abbandonato il paesino natale della provincia siciliana, per trasferirsi nella Milano “da bere” con la speranza di poter vivere liberamente la propria identità di genere; Marika, infatti, è nato uomo ma non ha mai accettato il suo corpo “difettoso”: lei è donna contro tutti e tutto e se gli altri si limitano a schernirla o, al massimo, ad approfittare di squallide prestazioni sessuali, i suoi genitori l’hanno isolata e abbandonata. Ma succede qualcosa che ribalta il corso delle cose e Marika, dopo anni di solitudine, ha, suo malgrado, la possibilità di recuperare il rapporto col padre. In un crescendo di speranza, malinconia e umorismo si arriva al finale che svela le mancanze e le aspettative che tutti noi, sia genitori che figli, viviamo quotidianamente, probabilmente da tutta la vita».
Doppi spettacoli per doppie emozioni.