MuMe: Una vita a cottimo chiude la rassegna ClanDestini

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La rassegna ClanDestini, che in questi mesi ha intrattenuto il pubblico messinese, e non solo, nella magica atmosfera del Museo Regionale, si avvia al gran finale. L’ultimo spettacolo in cartellone, dal titolo “Una vita a cottimo” scritto da Giusi Arimatea e diretto da Giovanni Maria Currò andrà in scena venerdì 21, sabato 22 e domenica 23 aprile alle ore 21,00.

La pièce, in prima nazionale, che vedrà in scena l’attore Mauro Failla, è il dramma intimo di un uomo schiacciato dal senso di responsabilità, dal carattere severo e prevaricatore della madre. È un quieto dondolare tra l’arrendevolezza e le fantasticherie. La cognizione, appena sussurrata, dell’insensatezza della rinuncia alla vita.

Ancor prima di essere messo in scena il testo di  Giusi Arimatea, aveva già ricevuto premi e riconoscimenti prestigiosi: primo classificato al Premio Nazionale di Drammaturgia “Aldo Nicolaj” di Fossano, secondo classificato al Concorso Teatro in cerca d’Autore di Avezzano, selezionato al Nuovo Teatro San Paolo di Roma e al Premio Nazionale Ercole Patti di Trecastagni.

Al riguardo Giovanni Maria Currò, nelle note di regia, dice “Cimentarsi nella regia di uno spettacolo non è mai semplice. Bisogna avere una visione totale del lavoro, poi farsi carico dei singoli elementi: avere cura in primo luogo della drammaturgia, poi degli attori, delle scene, dei costumi, delle luci e di tutto ciò che concorre alla messa in scena finale, precisamente “a quella che avevi in testa”.

Quando lessi per la prima volta “Una vita a cottimo”, abilmente scritto da Giusi Arimatea, mi resi conto sin dalle prime battute che non si sarebbe trattato del solito lavoro di direzione: un monologo richiede di fatto sforzi supplementari sia a un attore bravo come Mauro Failla sia al regista che lo deve dirigere.

Ho quindi provveduto a non accavallare mai i piani, ho cercato di procedere per gradi, ponendomi un obiettivo alla volta senza tuttavia perdere di vista l’insieme cui avevo teso sin dal primo momento.

Volevo prima di ogni cosa emergessero la personalità, l’anima e il cuore di Vincenzino, il protagonista della nostra storia. Ciò significava farne rivivere, attraverso l’attore, che dal canto suo ha molto lavorato sul personaggio, lo “sconquassato” mondo. Io, peraltro, desideravo accadesse tutto ciò organizzando un percorso avvincente, in grado di trasportare avanti e indietro lo spettatore lungo l’asse temporale di cui già la drammaturgia aveva mescolato le carte. Sono stati dunque questi i principiali intenti che hanno mosso la mia regia.

Lavorando, intanto, riflettevo sulle impronte impresse sulla nostra pelle dal passato e dagli individui che quel passato l’hanno più o meno condizionato. Chi siamo, del resto, corre lungo i sentieri delle anime che hanno incontrato, confortato, oppresso la nostra anima. Le radici del dolore pare abbiano sempre un corpo, due occhi, una voce”.

 

Queste  le premesse di uno spettacolo intenso che toccherà le corde dell’anima sin dalle primissime battute.

 

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